La scultura di Andrea Jori rappresenta una costante ricerca sui sentimenti e le aspirazioni umane, condotta in chiave artistica estremamente appassionata. E’ tutta una poetica talora aspra o addirittura drammatica, ma sempre avvincente, perché traduce tante esperienze di vita in effigie concreta ed ogni composizione comunica la sua carica di dolore, di forza, di gioia o d’incertezza.
L’Autore non indulge alla monumentalità, perché le sue figure stilizzate sembrano balzare verso il ciclo, quasi volessero liberarsi del proprio peso e da ogni vincolo terreno, trasformandosi così in veicoli virtuali di ascesa spirituale e creando di conseguenza un’ impressione di idealizzante levità.
Sacro e profano prendono corpo dalla sua mano che sa convertire la materia bruta in espressione del pensiero, conferendo a masse e a frammenti informi la
vis vitalis che genera vere e proprie opere d’arte.
Se l’arte è poesia, si può affermare che Jori canta del dolore con i suoi Crocifissi così veristicamente disarticolati nelle membra, dei turbamenti e dei timori nelle sue Annunciazioni e della Maternità nelle sue Madonne, dove dolcezza e gioia sono appannate da un oscuro vaticinio.
Libero da ogni intento agiografico, tratta con rispetto ed obiettività ogni fideismo, con particolare riguardo per il
bisogno metafisico insito nell’animo di ogni essere pensante. Rispetto ed obiettività che promanano dai suoi soggetti di carattere mitologico, feticistico od altro.
Tutta la sua opera, conferito il dovuto tributo accademico ai Grandi del passato, può così procedere felicemente con quella particolare frammentazione stilizzante, che meglio risponde alle esigenze intellettuali di un’arte evolutasi nel tempo.
Non bisogna però dimenticare il notevole effetto estetico finale delle sculture, effetto acquisito mediante la simbiosi fra vuoti, pieni e colore, in un rapporto fra di essi estremamente indovinato dal punto di vista visivo. Rapporto che attua quella sinergia con i contenuti che conferisce alle opere di Jori un grande valore artistico.
Ottavio Borghi, 2006
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