Andrea Jori
Scultore e pittore
Sulla linea del tempo, la frantumazione della materia, in un alternarsi di vuoto/pieno, denso/opaco, luce /ombra, rinvia a un emergere frantumato e «corrotto» della memoria, quasi a dichiarare l'impossibilità di ritrovare il soggetto nella sua unità (e coerenza), quando lo scavo (archeologico) si fa profondo, fino a raggiungere il regno senza sole e vita dello psicopompo, dove i corpi perdono la matericità della carne e insieme il contatto, l'accesso all'altro mediante la sensualità e il sentimento.
Non c'e memoria che non sia lacerto, frammento, densità impalpabile e per contro, non ci sarebbe soggetto pieno se non a fronte di lacerazioni profonde. Piccole morti? Putrefazioni dell'io che muta nel divenire e non può che essere solo un resto del sé originario?
Siamo generati o ci generiamo da noi stessi nel momento in cui scorgiamo il mondo e sappiamo che da quell'istante a noi spetta la scelta di scoprirlo o di lasciarlo?
Ancora una volta, Andrea Jori interroga la materia, come farebbe uno sciamano o un sacerdote azteco. Scolpisce e frantuma, costruisce e distrugge, modella e sfascia, aggiunge e sottrae. Il movimento è esattamente quello che presiede alla costruzione dell'anima umana; non altalenante, perchè in tal caso a ritornare sarebbe sempre l'identico, ma distruttivo. In fondo, siamo più quello che e rimasto di noi, vari passaggi del divenire, che non quello che a volte pensiamo di avere voluto per noi stessi. E il nostro cammino è vivo proprio perché si fonda sulla scomparsa (la perdita proustiana) di ogni cosa che non sia presente (in noi) nell'attimo. Ombra/luce, vuoto/pieno, denso/opaco. II dramma della cesura del soggetto da se, dal reale, dall'altro! Andrea Jori lo sperimenta, modellando la materia e con essa i corpi dei suoi «personaggi».
Affermazione di identità nella mancanza di un Io che sa di esistere grazie a una relazione con I 'Altro che si sovrappone all'infinito. Ancora: il tempo e la memoria, l'io e quanto di esso appare sfiorano l'origine (scavo archeologico alla ricerca del perché della vita) soprattutto la fine. La morte è in noi, come è in Dio - diceva un saggio - ma Dio ha per se I 'Etemità; noi invece, l'istante che rode. Forse, per questo e non solo, Andrea si accanisce a ritrovare un disegno nella materia, a costruire (mimare) storie mute. Infondo, ha ragione: non siamo mai unicamente la dove siamo.
Frediano Sessi, 1994

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